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Rinoceronte indiano

Rhinoceros unicornis

È il più grosso dei rinoceronti asiatici, arrivando a pesare più di una tonnellata e mezzo. Caratteristica di questo animale sono le quattro robuste piastre dermiche che lo fanno sembrare munito di armatura. Come le altre specie asiatiche (il rinoceronte di Sumatra e il rinoceronte di Giava), il rinoceronte indiano possiede un unico corno, generalmente di colore nero. È costituito da cheratina pura come le unghie umane ed inizia a svilupparsi verso i 6 anni di età. Nella maggior parte degli adulti il corno raggiunge una lunghezza di 25 centimetri. Questa struttura non è una vera arma difensiva, viene utilizzata solo nelle schermaglie territoriali tra maschi, la vera arma di difesa è rappresentata dai canini lunghi fino a 9 cm.

Purtroppo il rinoceronte indiano condivide con tutti gli altri rappresentanti della famiglia un triste destino di declino a causa del feroce bracconaggio cui è sottoposto per le presunte qualità afrodisiache e antitumorali del suo corno. Probabilmente proprio per queste sue presunte qualità durante il ponte del 2 Giugno 2015 il corno dell’esemplare della Collezione di Zoologia è stato trafugato.

Attualmente sia per questi motivi che per la riduzione del suo habitat naturale solo poche centinaia di esemplari sopravvivono in alcune riserve indiane.

DISTRIBUZIONE

Piccole popolazioni in India nord-orientale e in Nepal.

ALIMENTAZIONE

La sua dieta è costituita quasi interamente da erba, a volte si nutre anche di foglie, ramoscelli di alberi e arbusti, frutta e piante acquatiche sommerse e galleggianti.

COMPORTAMENTO

Questi rinoceronti vivono nelle praterie e nelle foreste, ma a causa della distruzione dell'habitat sono costretti a vivere su terreni coltivati. Sono solitari e territoriali; il territorio di un maschio si estende solitamente per 2-8 chilometri quadrati e si sovrappone a quello di altri esemplari.

IL RINOCERONTE DELLA COLLEZIONE DI ZOOLOGIA

L’esemplare tassidermizzato della Collezione di Zoologia, proveniente dal serraglio di un circo che fece tappa a Bologna alla fine dell’800, presentava uno stato di conservazione non ottimale: il manto aveva numerose lesioni che coincidono con le giunzioni originali realizzate mediante cucitura dei lembi del mantello e con un successivo fissaggio con chiodatura a una struttura portante realizzata in legno. Nel ventre, dove vi era una vera e propria rottura da cedimento con conseguente distacco del manto dalla struttura di supporto, si poteva notare la canapa utilizzata come materiale di riempimento.

Tutte queste lesioni erano da attribuire ad una esposizione igroclimatica inadeguata e inadatta in quanto non esiste un clima costante nell'ambiente, poiché la porta di accesso all'atrio provoca correnti d'aria dall'esterno che variano a seconda delle stagioni e delle condizioni igroclimatiche. Trattandosi di pellami questi sono particolarmente sensibili a questo tipo di fenomeno.
Successivamente al furto del corno l’esemplare è stato restaurato.

Preventivamente è stata realizzata una copia in gesso e polvere di marmo di un corno di un altro esemplare di rinoceronte. Questo è stato fissato mediante l'inserimento di perni in fibra di vetro e resina epossidica. Infine si è effettuata una stuccatura di sigillatura della bordatura esterna e tonalizzata con colori a tempera e acrilici. Per fissare e risollevare il ventre sono state realizzate delle fasciature circolari che coinvolgevano nell'intera circolarità il tronco del rinoceronte.

I lembi e le porzioni distaccate di derma sono stati fissati mediante viti autofilettanti con rondelle in ottone per aumentarne la tenuta, i bordi sigillati con stucco di tipo elastico e a completa asciugatura sono stati tonalizzati con colori a tempera e acrilici.
Le fessure di piccole e grandi dimensioni sono state prima fissate con collante adeguato, quindi stuccate a livello con stucco elastico, imitando in superficie la rugosità originale, e tonalizzati con colori a tempera e acrilici.

Su tutta la superficie è stata eseguita una pulitura leggera a tampone con acqua distillata.

Il restauro è stato realizzato nel mese di agosto 2015 dalla ditta Ottorinononfarmale con la collaborazione dei volontari del Servizio Civile del Sistema Museale con il supporto economico reperito dal Prof. Marco Passamonti del Dipartimento BiGeA.

 

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